Però come tempistiche son stati poco furbi, a farli uscire a pochi mesi di distanza (un po' com'era successo per Coco Chanel qualche anno fa).
Ad ogni modo, quella che leggerete di seguito, è la recensione, pardon, commento di quello uscito qualche mese fa. Anche se recupererò sicuramente il secondo anche solo per Gaspard Ulliel (viva l'oggettività).
Tra
cinema e moda c’è sempre stato un
legame indissolubile che ha svariate sfaccettature: ispirazioni reciproche, contenuti,
narrativa.
Quando
parliamo di Yves Saint Laurent la connessione tra i due mondi possiamo
inserirla nell’ultimo caso, ossia in quello della narrativa.
E quando c'è da parlare di questo legame io starei a discuterne per secoli.
Il
film è un racconto lineare della carriera
dello stilista, che si sofferma soprattutto su Saint Laurent come persona, lascia spazio alla riflessione
sull’estro creativo e gli eccessi che hanno scandito la sua vita.
Dopo
una breve introduzione su Yves e la sua famiglia e un velocissimo flashforward
su Pierre Bergé, che diventa voce
narrante del film, essendo suo compagno
di vita, la storia inizia nel 1957, quando un appena ventunenne Saint
Laurent prende in mano le redini di una delle più importanti maison del mondo: Dior.
Da
lì in poi la narrazione va avanti cronologicamente: l’incontro con Pierre, i problemi con l’ospedale psichiatrico e
successivo licenziamento da Dior, la sua
ascesa personale nel mondo dell’Alta Moda prima e nel Prêt-à-Porter poi,
fino alla malattia e alla morte.
La sua evoluzione
artistica e lavorativa va di pari passo con il suo decadimento personale.
La sua insicurezza, il suo essere maniaco-depressivo si fanno travolgere dal
susseguirsi di eventi, dal successo e diventano irriverenza. Droga, alcool,
promiscuità la fanno da padroni per una buona fetta della vita di Saint
Laurent. E qui è semplice cadere nella retorica osservazione che dietro ogni
artista, dietro ogni genio c’è follia, c’è dissolutezza. D’altra parte da una
personalità ordinaria, senza irrequietezze è raro che siano venuti fuori dei
capolavori.
Saint Laurent amava
l’arte, la bellezza, l’eleganza; concetto che il film
ha sottolineato più volte e ce lo ha mostrato con i cambiamenti dei defilé,
così semplici e privi di rischi
all’inizio, così sfacciati e innovativi poi.
Lui
stesso, in una delle sue battute dice che i suoi disegni e i suoi abiti sono il
suo modo di esprimersi e di combattere la sua fragilità.
Importantissimo,
poi, è il rapporto che ha con Pierre
Bergé che rappresenta la sua roccia
ed al contempo la sua valvola di sfogo. Nonostante i tradimenti e lo stile
di vita vizioso, lui rimane con lui. Yves lo dice: “Amo Jacques, ma tu sei l’uomo della mia vita.”
Infatti,
il ritratto dello stilista che viene dipinto dal film è in qualche modo
indulgente proprio perché narrato da Pierre.
Straordinaria
la somiglianza di Pierre Niney con lo stilista, anche se nella seconda parte
del film appare troppo giovane per l’effettiva età di Saint Laurent.
La
carrellata di eventi è forse un po’ troppo veloce (il film dura poco meno di
un’ora e quaranta minuti) ma riesce comunque ad aprire una finestra sulla vita
di un artista straordinario ed innovativo qual è stato Yves Saint Laurent.
Un'ultima cosa mi ha molto colpita di questo film: il bellissimo ritratto di Parigi. Che rimane sempre bellissima col passare degli anni, nonostante si adegui alle mode e alle tendenze e non lascia mai Yves.
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