lunedì 10 febbraio 2014

La Grande Bellezza [Film]

Non nascondo di aver esultato nel cuore della notte, quando La Grande Bellezza ha vinto il Golden Globe.
Per ragioni puramente nazionalistiche, non avendolo ancora visto.
Dunque mi sembrava doveroso colmare questa lacuna, visto che il film è candidato anche alla statuetta cinematografica più prestigiosa l'Oscar.

Una volta visto, dico questo: se dovesse vincere, sarò contenta per le stesse ragioni, per patriottismo spiccio più che per il film in quanto tale.
Se ve lo state ancora chiedendo, no, non mi è piaciuto.




Sarò una mente semplice, sarà che con l'età mi sono rincoglionita, ma ho trovato la visione di questo film un vero e proprio strazio.

Ma procediamo per ordine.

Di cosa parla il film? Di Jep Gambardella, giornalista fu scrittore e dei giorni che seguono il suo 65mo compleanno.
Della sua vita che ruota tra noia, feste, mostre, performance e funerali.
In sintesi. Perché, in effetti, più che di trama qui ci sarebbe da farci una trattazione filosofica sul significato della vita e bla bla.

Parto subito da quello che mi è piaciuto, perché almeno una cosa riesco a salvarla di questo minestrone onirico e metafisico lungo due ore.
Roma. Ottima fotografia e un gran bell'omaggio alla Città Eterna.
D'altra parte la storia del protagonista si svolge nei salotti "bene" della nostra Capitale, dunque era inevitabile incappare nei migliori scorci della città, e Sorrentino ha fatto un buon lavoro, ricordandoci quanto Roma sia splendida nonostante lo stupro che subisce quotidianamente da amministrazioni, turisti e cittadini poco civili ogni giorno.

Chiamatemi pure mente semplice o ignorante.
A me i film messi in piedi così non mi piacciono. Sarà che ormai sono diventata una strenua attivista del partito "Cinema as Entertainment" (fatto coi tutti i crismi, ovviamente), sarà che son convinta che ci sono altre strade per far riflettere il pubblico su temi più o meno importanti, ma questa ricerca spasmodica di apparire elitari e al di sopra di tutto e di tutti a me non attira.
Questo continuo saltare da una cosa all'altra, almeno apparentemente, perché Jep, in fondo, non è che si sposti molto dal suo orticello da intellettuale. Riflettiamoci, il guizzo di novità nella sua vita lo porta una spogliarellista ultraquarantenne, segno palese di come la noia e il "ho già visto/ho già fatto tutto" siano un segno caratteristico della sua quotidianità.

Oltre alla noia è palese lo squallore in cui vivono Jep e i suoi "amici", tra l'altro cliché triti e ritriti di un certo ceto sociale: il marito cornificatore, la moglie cornuta, la radical chic, quella che ha il figlio problematico, eccetera eccetera eccetera.

Poi i dialoghi. Lessico ricercato, argomenti di discussione filosofici. Ma io ci credo poco che la gente, anche se di un certo status sociale parli in quel modo e di certe cose. Soprattutto sono poco credibili dopo essersi fatti svariate piste di cocaina e storditi di musica commerciale da quattro soldi. Per piacere.

L'ultimo pezzo, quello dov'è protagonista la suora, la "Santa" mi ha veramente inquietata. A parte lei in sé, senza denti in bocca (perdonatemi, fisime personali, non fateci caso).
Ma cosa vuole dirci Sorrentino? La fede è l'ultimo appiglio? Che dopo una vita di bagordi e frivolezze si può ritrovare un senso per la propria esistenza rivolgendosi a Dio o ad una qualche spritualità?
Mah, sarà. Ma questo è uno scetticismo mio personale che esula dal film. Poi magari non voleva dire neanche questo e io ho male interpretato tutta la sequenza.

Ho trovato tutto forzato, specie la recitazione, Servillo non mi è dispiaciuto in toto, ma i segmenti in cui ci sono le varie morti l'ho trovato poco credibile (?).
Su Verdone non dico nulla perché io lo adoro, mi prostro ai suoi piedi e quando fa particine così ridicole e inutili per me è come buttare tutto alle ortiche.

Una cosa che mi ha dato veramente, ma veramente fastidio, al di là di tutto il filosofeggiare è stato lo spudorato product placement.
Partendo dal vermouth, passando dai cappellini alla birra alla banca (che però almeno figura nei titoli di testa) o all'assurda inquadratura dello spremiagrumi, inserita solo ed esclusivamente per mostrarci il brand (di cui non ricordo neanche il nome, va là quanto è servito).
Facciamo tanto gli intellettuali sopra le righe e poi smarchettiamo per tre quarti di film? Per cortesia.

Insomma, a conti fatti per me è un NO gigantesco, ma ribadisco, non alzerò le barricate o griderò allo scandalo, sarò contenta solo ed esclusivamente per puro spirito campanilistico, come ho già detto all'inizio del post.

Che sia chiaro, io non sono contraria ad un cinema che dia dei messaggi, che parli di qualcosa, che faccia riflettere, ANZI.
Sono semplicemente stufa di questo cinema che si pone al di sopra di una logica più spiccia, questo cinema che crede che per fare un buon prodotto debba per forza essere astruso ed elitario.
Altrimenti le cose fatele per voi, non per un pubblico ampio, perché altrimenti, per me, siete alla stessa stregua della performer che prende a capocciate il muro perché sente le vibrazioni...

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